L’Ottocento

Dopo alcuni tentativi di coltivazione nella prima metà dell’Ottocento effettuati con capitali peraltro abbastanza limitati da impresari locali (Giovanni Battista Fantonetti, i fratelli Albasini e la società Spezia, Moro e Bessero), le miniere della valle Anzasca e in particolare quelle di Pestarena entrarono in un nuovo periodo di splendore.

Attorno alla metà dell’Ottocento il capitale britannico inseguiva infatti promettenti iniziative minerarie fuori dall’Inghilterra e pur se gli investimenti maggiori si riversarono in gran parte verso i possedimenti coloniali dell’impero o il Sudamerica, una parte di essi venne dirottata sul continente europeo e sulle regioni alpine.

La liberalizzazione del mercato sabaudo voluta da Cavour nel 1856 aveva favorito l’afflusso nel Regno di Sardegna di tecnici minerari incaricati di valutare le potenzialità dei maggiori giacimenti, per investirvi capitali messi a disposizione da facoltosi finanziatori di oltre Manica. Si trattava di abili figure a metà tra tecnici e procacciatori d’affari, essi stessi interessati a entrare come azionisti nelle società create per lo sfruttamento minerario.

E’ in questo contesto che l’ingegner Eugene Francfort, reduce da una permanenza di quasi otto anni negli Stati Uniti per attività minerarie, ritornò nel Regno Unito e poi approdò in Piemonte nel 1857. Grazie alle sue conoscenze tecniche e all’abilità nel condurre le pratiche d’acquisto e di concessione, egli divenne il punto di riferimento per diversi gruppi di investitori inglesi intenzionati a concentrare i propri capitali soprattutto sulle miniere del Piemonte nord-orientale, dove l’obbiettivo di maggior interesse era rappresentato proprio dall’oro del Monte Rosa [1].

Nel marzo 1863 nasceva così The Vallanzasca Gold Mining Company Ltd con 50.000 sterline di capitale, che prese in affitto dalla Società Anonima delle Miniere dei Cani la miniera omonima sopra San Carlo e gli impianti di Battiggio, per 25 anni a 1500 sterline.

La prima miniera d’oro a passare in totale proprietà inglese fu però quella dell’Alfenza a Crodo, ceduta l’8 dicembre 1863 alla Victor Emanuel Limited per 20.000 lire; ma nel marzo di quell’anno era già nata per sfruttarla The Antigoria Gold Mining Company Ltd, con 60.000 sterline di capitale.

Il 1 ottobre 1863 il Francfort a nome degli investitori da lui rappresentati acquistava inoltre da Pietro Pirazzi Maffiola per 275.000 lire la miniera Tagliata sul torrente Marmazza, presso Pieve Vergonte formando The Val Toppa Gold Mining Company Ltd.

Il ‘boccone’ più ghiotto era tuttavia costituito dal bacino minerario di Pestarena e infatti al Francfort occorse più tempo per riuscire a portarlo in mano anglosassone. L’acquisizione delle cinque miniere principali denominate Peschiera, Acquavita, Speranza, Pozzone e Morghen avvenne infatti soltanto il 18 ottobre 1865, per l’ingente somma di un milione di lire, ed a cederle fu il gruppo Spezia, Moro e Conterio, a fronte del reale decreto di concessione del 2 dicembre 1852.

Complessivamente nelle installazioni minerarie esistenti a Pestarena erano disponibili nei vari edifici quasi 230 molinetti piemontesi e 6 molinoni, con una capacità di trattamento del minerale aurifero che però verrà di gran lunga superata quando gli inglesi introdurranno i nuovi mulini ideati dallo stesso Francfort e che da lui prenderanno il nome; in 24 ore ogni molinetto piemontese poteva infatti trattare circa 60 kg di minerale, mentre ciascun molino Francfort da 850 a 1050 kg, con una resa quindi assai superiore. Conseguentemente anche la scala dei lavori in sottosuolo divenne proporzionalmente maggiore rispetto a prima, per mettere a disposizione degli impianti una sufficiente quantità giornaliera di minerale.

Finalmente nel gennaio 1866 veniva fondata nella capitale britannica la società mineraria più importante tra quelle cui si è accennato, cioè The Pestarena Gold Mining Company Ltd, con un capitale di 150.000 sterline. Non a caso nel marzo 1867 le compagnie Vallanzasca, Val Toppa e Val Antigoria furono poste in liquidazione per andare a formarne una sola, The Pestarena United Gold Mining Company Ltd, con 200.000 sterline di capitale sociale. Anche la miniera dei Cani con gli impianti di Battiggio venne rilevata dalla nuova società il 24 ottobre di quell’anno, completando così l’acquisizione di tutti i principali giacimenti auriferi ossolani con relative installazioni per il trattamento del minerale.

Tutte queste compagnie, nate e registrate a Londra, vennero subito ufficialmente quotate in borsa, con emissione di regolari certificati azionari, ma in realtà esse non erano altro che emanazioni dello stesso nucleo di investitori della capitale britannica, tra cui personaggi che risultavano avere compartecipazioni e cariche nei consigli di amministrazione anche di varie altre importanti società minerarie, soprattutto in Sudamerica.

Resta il fatto che, scorrendo le pagine economiche sui principali quotidiani londinesi della seconda metà dell’Ottocento, troviamo la Pestarena Gold Mining Company costantemente quotata tra i principali titoli minerari, accanto ai resoconti periodici che i suoi dirigenti inviavano per informare gli azionisti sull’andamento dei lavori e sulle produzioni mensili.

Per molti anni le piccole compagnie locali avevano condotto lavori in galleria con macchinari di fattura primitiva e senza un piano sistematico di sviluppo che si curasse di costituire riserve. Essendo il minerale ricco e i capitali ridotti, si realizzava però un buon ritorno economico rispetto agli investimenti.

 

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Pestarena – Stabilimenti della società inglese (circa 1885)

 

Il sistema cambiò quando subentrarono gli inglesi e la scala di intervento in sottosuolo e in superficie divenne dieci volte più grande rispetto a prima. L’attività era organizzata nei tre districts di Pestarena, Battiggio e Val Toppa, secondo la denominazione con la quale venivano indicate le tre aree principali dove esistevano le installazioni minerarie. Gli impianti di trattamento di Pestarena erano presso le omonime miniere, quelli per la miniera dei Cani si trovavano a Battiggio di San Carlo, mentre per la val Toppa erano situati a Fomarco sull’Anza.

Negli anni 1868-1870 la produzione si aggirò intorno ai 200 kg, mentre poi fino al 1875 si registrò un calo.

Già all’inizio degli anni Settanta le coltivazioni si stavano approfondendo e con la profondità i filoni s’arricchiscono singolarmente in arsenico, a parte qualche raro filone di val Toppa e di Pestarena.

Già i lavori alla miniera dei Cani erano stati abbandonati nel 1867 e non si intendeva riprenderli. Anche a Crodo comunque l’attività si era di molto ridotta.

Le alte spese di trasporto dalle miniere agli impianti (2200 sterline nel 1868) impedivano inoltre lo sviluppo completo del giacimento prevenendo lo sfruttamento di quelle porzioni dei filoni a tenore non sufficientemente elevato da garantire un immediato ritorno. Queste zone non erano coltivate, perché se il minerale era abbattuto doveva essere lasciato da parte e la decomposizione dei solfuri li avrebbe resi quasi inutilizzabili per l’amalgamazione. Molte migliaia di tonnellate di minerale erano perciò ‘in vista’ ma intoccate e la capacità effettiva di trattamento dei tre distretti di 13000 t l’anno non era sfruttata a regime.

La società era dunque ancora lontana dall’essere prospera, per cui nel 1874 la gestione venne affidata alla John Taylor & Sons, affermata società di consulenza ingegneristica londinese con importanti interessi in campo minerario in tutto il mondo.

Nel piano di sviluppo si adottarono nuove soluzioni e miglioramenti nel trattamento del minerale per aumentare la produttività. La produzione riprese a crescere fino ad aggirarsi sui 200 kg negli anni 1880-1886 e arrivare a un picco di 232 kg nel 1887.

Nel 1884 tra Pestarena e val Toppa si erano scavati oltre 12 km di gallerie ed estratti in totale 70.000 mc di minerale.

In occasione dell’Esposizione universale di Torino di quell’anno, l’allora direttore e procuratore Harper Powell vantava che il complesso minerario della società era uno dei principali comprensori auriferi europei, con più di 500 operai occupati, di cui 350 a Pestarena e 150 in val Toppa (rispetto al 1878 a Pestarena essi erano raddoppiati, mentre in val Toppa rimasti invariati).

L’attività della società si concentrò sempre di più su Pestarena, mentre in quelle della val Toppa venne gradualmente ridotta; la miniera dei Cani e l’impianto di Battiggio vennero affittati nel 1887 alla ditta Vogel di Milano, che estraeva la pirite per la fabbricazione dell’acido solforico, recuperando comunque anche l’oro.

Nel febbraio 1888 prima in Val Toppa una serie di valanghe distrusse i caseggiati e ostruì gli imbocchi, causando parecchi giorni di sospensione. Poi a Pestarena valanghe cadute dalla val Moriana danneggiarono seriamente gli stabilimenti; gli accumuli di neve nel letto dell’Anza, produssero un ristagno creando un lago la cui acqua penetrò e invase poi i lavori in sotterraneo per 140 m di altezza. Il prosciugamento delle gallerie richiese tutto l’anno.

Nel 1889 riprese lo scavo del ribasso Morghen, iniziato dalla società Spezia a metà secolo e poi sospeso quando era arrivato a 290 m, che doveva risolvere il problema dell’eduzione delle acque che allagavano regolarmente le gallerie sotto il livello dell’Anza; si raggiunsero i lavori della Peschiera dopo altri 1935 m di scavo.

La produzione, che era scesa dai 204 kg nel 1889 ai 172 del 1892, si riprese un poco nel 1893 grazie ai nuovi esperimenti di trattamento con cianurazione (225 kg), ma negli anni successivi scese inesorabilmente.

Erano ormai solo le miniere di Pestarena a sostenere la produzione, mentre in Val Toppa si otteneva sempre meno oro. Le maestranze a Pestarena negli stessi anni varieranno tra 58 e 65 unità, mentre in val Toppa scenderanno da 44 a 13.

Era ormai chiaro che il destino della società era segnato e neppure un riassetto societario a cavallo del secolo portò ad alcunché.

Va ricordato che negli anni Novanta dell’Ottocento altre società estere a capitale belga e svizzero per alcuni anni effettuarono lavori di ricerca in diverse aree aurifere secondarie della valle Anzasca (Val Bianca) e dell’Ossola, ma con risultati sempre limitati ed effimeri.


[1] Allo sfruttamento delle miniere aurifere dell’Ossola da parte di società anglosassoni nella seconda metà dell’Ottocento è dedicato un lavoro di R. Cerri, attualmente in preparazione.

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