Vincenzo Nanni e Le Miniere del ‘700

Alla Scoperta dell’Anima del Mio Paese, Il Volto Nascosto di Pestarena

Articolo pubblicato su “Il Rosa” di Gennaio, Febbraio, Marzo 2009

L’oro del Monte Rosa – Chilometri di gallerie minerarie scavate nelle viscere della terra – L’evoluzione tecnologica nell’escavazione della pirite: scavi regolamentati ma “artigianali” nel ‘700, l’avvento dell’industria nell’800, la chiusura del 1961 – Potrà esserci un domani?

A Pestarena, abbiamo incontrato Vincenzo Nanni, 54 anni, caposervizio alla Funivia del Passo Moro. Con lui non abbiamo tuttavia parlato d’impianti di risalita, ma di oro. Delle antiche miniere d’oro di Pestarena.
“Ho sempre avuto la passione della scoperta e della ricerca delle vecchie gallerie. Un “tarlo” inculcatomi forse da mio padre Federico, minatore, e da nonno Ruggero, minatore e ricercatore di filoni auriferi. La mia prima galleria mineraria l’ho visitata assieme a mio papà Federico all’età di 10 anni. L’anno scorso sono voluto tornarci e ho trovato il segno da noi allora lasciato.
Nel sottosuolo di Pestarena e nei boschi che la circondano, sono disseminati oltre sessanta chilometri di gallerie a varie quote. Ma, secondo me, sono molti di più! Infatti, bisogna suddividere le miniere in due tipologie diverse: quelle legate all’attività industriale, da circa la metà dell’800 al 1961, anno di chiusura delle miniere e quelle legate all’estrazione aurifera del ‘700. Proprio da qui, stimolato dalla pubblicazione “L’oro del Monte Rosa”, scritto da Riccardo Cerri e Alessandro Zanni. sono andato a ricercare alcune realtà cadute nell’oblio: Scarpia, Cavone, Cavetto, Lena e altre meno nominate, ma non meno interessanti”.

 

Nella foto Nanni Vincenzo

 

Quante ne hai già rintracciate e visitate?

“Attualmente, sono già entrato in più di venti di quelle sfruttate nel ‘700 più altre sessanta, settanta. Entrato, anzi spesso entrati, guardato, fotografato e catalogato. Sono buchi oscuri ma testimonianza chiara di uno spaccato di vita di Pestarena. Qui hanno lavorato, sudato, guadagnato, tribolato e spesso sono morte, generazioni di operai che fra queste rocce avevano riposto le loro speranze di vita, i loro sogni, le loro aspettative”.

 

Fine 1800 – La Trappola

 

Come sono all’interno queste gallerie minerarie?

“Prima di vederne l’interno vanno cercate e trovate all’esterno. Le diverse zone le conosco molto bene eppure prima di rintracciare l’entrata di qualche galleria ci vuole una certosina e costante ricerca. Basta ricordare quella della Valletta, nei pressi di Stabioli. Grazie al bellissimo e preciso libro di Cerri-Zanni, consultandone la dettagliata piantina, sono risalito alla zona, restringendo il campo di ricerca. Purtroppo i segni del tempo avevano cancellato molto, non un piccolo muro a secco. Con questi dettagli, dopo quindici giorni, ho trovato ciò che cercavo.
All’interno una serie di gallerie ben conservate, che si sviluppano su tre piani sovrapposti. Un’opera d’alta ingegneria realizzata interamente a mano. Gallerie armate con legname dei boschi circostanti e tuttora perfetto.
Un’altra galleria che ci ha fatto dannare per trovarla è stata quella del Cavone. La zona è ristretta, ma non c’erano buchi d’entrata. Dopo una giornata di vane ricerche, stavamo, Giovanni ed io, tornando a casa. Per fare prima abbiamo imboccato un ripidissimo canaletto. Lì a metà, c’era l’entrata da noi cercata, ricoperta da rami e foglie secche”.

Che sensazioni provi all’interno di una galleria mineraria abbandonata da oltre duecento anni?

“Come entri pensi che tu sei il primo a varcare quella soglia dopo due secoli. Ti viene da pensare alle immani fatiche di quella gente. Ricordiamoci che parliamo del ‘700.
Il lavoro fatto là dentro era tutto manuale. Non avevano torce luminose. Le calzature e l’abbigliamento erano sicuramente molto modesti. Quando sei lì dentro apprezzi l’essenzialità della vita. Tutto era razionale. Non uno spreco. Il filone aurifero veniva seguito alla perfezione e lo scavo era limitato allo stretto necessario. Ho trovato gallerie con camini verticali di oltre venti metri; stretti e gradinati con legni. Lì saliva il minatore, al lume di candela, con punta e mazzetta frantumava la roccia, riempiva un secchio e scendeva per portarlo nella galleria centrale e da qui all’esterno. Fatiche immense. Eppure il richiamo dell’oro aveva riempito di uomini le viscere di queste montagne. Raffrontato con il moderno modo di vedere e pensare, quel mondo buio ti porta ad apprezzare il benessere del giorno d’oggi. E poi, per me, l’entrare in quei cunicoli è conoscere la storia del mio paese dall’interno”.
Ma cosa trovi all’interno delle gallerie che hai visitato?
“Montagne d’oro! – dice ridendo Vincenzo – Ho trovato filoni auriferi molto belli e carichi di pirite aurifera. Ho trovato minuscoli cristalli là nella galleria da cui hanno estratto il cristallo del Monte Rosa regalato a Orazio Benedetto De Saussurre. In un’altra galleria, ero con mio fratello Guglielmo, abbiamo trovato un cappello e una conca usata per raccogliere il minerale.
Entrambi non erano in buono stato perché posti in una zona molto umida e lasciati lì chissà da quanti anni. Nelle gallerie sfruttate industrialmente, sono visibili vecchi carrelli. Il “polmone” che mandava l’aria giù in profondità. La polveriera. Binari. A proposito, in una delle miniere antiche ci sono ben visibili i famosi binari di legno; binari di legno per un carrello di legno, 1700!”.

Non ti è mai capitata una situazione d’emergenza nei tuoi vagabondaggi sotterranei?

“Una sola volta, eravamo in due, entrati dal Ribasso Morghen, siamo saliti verso il pozzo principale. Il tempo è passato veloce e le nostre luci si affievoliscono e quelle di scorta sono rimaste in macchina. Via veloci fino giù al piano d’uscita. Da lì all’esterno non ci sono problemi neppure al buio, sono 2800 passi. Invece, una bella sensazione l’ho avuta quando ho accompagnato nella galleria de La Trappola Angelo Iacchini. Lui in quella miniera c’era entrato da ragazzo accompagnato da Pietro Pala e oggi, ultraottantenne, è voluto tornare con me”.

Miniera, oro, gallerie, una tradizione di famiglia?

“Posso dire di sì anche se lo spirito e le necessità sono assai differenti. Mio papà è stato minatore di professione e come tale colpito dalla silicosi, la terribile malattia legata indissolubilmente alla vita dei minatori. Mio nonno Ruggero è stato minatore ma soprattutto ricercatore di filoni auriferi affioranti in superficie. Aveva la sua postazione di ricerca sui contrafforti del Pizzo della Caccia. Il famoso “Barachìn dul Nani” a quota 2200 m. Poi mio nonno è stato minatore nelle Indie per una società inglese. A casa conservo il suo biglietto di ritorno. Ma nelle gallerie aurifere non vado solo, altri pestarenesi mi seguono: Guglielmo, Massimo, Giovanni, Osvaldo. Ovviamente a scopo turistico o didattico, la miniera da visitare è esclusivamente quella della Guja”.

Miniere di stampo artigianale. Miniere esistenziali. Civiltà pre-industriale. Eldorado del Monte Rosa. Utopia dorata. Cosa fare di quest’immenso patrimonio storico?

“Io cerco di documentare quanto più è possibile. In questo dedalo di buchi c’è la storia della mia gente. Generazioni e generazioni. Epoche lontane o più recenti. Sono entrato anche nella galleria della Valle Rossa. Lì noti un’architettura moderna, diversa da quelle del ‘700. Ma legata a quella galleria c’è una storia diversa. Al tempo delle rappresaglie nazifasciste, mi ha detto Marino Bettoni, gli uomini di Pestarena fuggivano in galleria. Dai diversi posti d’entrata, raggiungevano il pozzo principale e da lì uscivano quassù. Da qui si spostavano nel bosco e potevano vedere cosa succedeva in paese.
Non penso che ci sia nessun altro interessato ai buchi di Pestarena. Impensabile un ecomuseo. Resteranno lì abbandonati al loro destino. Lì, nell’attesa che la montagna se li riassorba, chiudendo per sempre una pagina di storia. La pagina dell’oro del Monte Rosa”.

Intervista Walter Bettoni

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