Il Settecento

Poco prima della metà del Settecento si ebbe invece uno sviluppo nell’attività mineraria via via crescente, con l’emergere di una classe di imprenditori appartenenti a famiglie della valle che avevano derivato e mantenevano floride le proprie fortune con attività mercantili anche in terra straniera o, in minor misura, grazie all’esercizio delle professioni forensi.

Il fatto di poter contare su attività economico-finanziarie differenziate e fiorenti permetteva a costoro di assorbire i periodi di scarso prodotto e forti uscite in un settore a elevato rischio come quello minerario, cosa che non avveniva per chi, avendo a disposizione un capitale ridotto, lo investiva invece tutto nell’impresa mineraria contando sulla fortuna e su facili guadagni: il risultato era che, esaurita la liquidità, questi era costretto a indebitarsi con i maggiori imprenditori impegnando le proprie aree di scavo e i relativi impianti di trattamento, che, per lo stesso meccanismo accennato sopra per altri beni immobili, passavano in mano al creditore.

Fu comunque Bartolomeo Testone di Bannio a emergere su tutti a partire dalla metà degli anni Cinquanta del XVIII secolo e poco dopo a lui si affiancarono Pietro Giordano, Antonio Ferro e i fratelli Giovanni e Cristoforo de Paulis, tutti di Alagna, la cui comparsa sulla scena mineraria della valle Anzasca è la diretta conseguenza del fallimento dell’ambizioso progetto di gestione diretta delle miniere di oro e rame dell’alta Valsesia da parte del governo sabaudo, sotto la direzione del di Robilant.

Da soli o in società con ‘minerali’ locali, tutti costoro lasciarono traccia profonda nella storia della valle Anzasca e ancora oggi, nelle chiese di Macugnaga, si apprezzano le opere realizzate con loro donazioni, segno tangibile delle fortune derivate dalle miniere.

Il Testone e gli alagnesi ben presto riuscirono a concentrare nelle loro mani il controllo dell’intera attività mineraria della valle, accaparrandosi l’investitura generale, ora a canone annuo fisso e rinnovabile ogni triennio, concessa dal feudatario Federico Borromeo, e relegando progressivamente al ruolo di subaffittuari gli altri impresari. Essi riservarono oltretutto per sé le aree che offrivano le migliori garanzie tanto in termini di caratteristiche intrinseche dei corpi minerari (consistenza della mineralizzazione, resa in metallo nobile, ecc.), quanto per le agevoli condizioni di coltivazione (scavo non troppo problematico, minimo trasporto del minerale ai mulini, ecc.), mentre lasciarono in subaffitto quelle reputate secondarie o meno promettenti, pur mantenendo quote di partecipazione su alcune di esse.

 

Gli imbocchi alla Caccia superiore

 

L’attività estrattiva e metallurgica si sviluppò in modo particolarmente consistente nell’arco degli anni 1760-1785, periodo che rappresenta sicuramente il capitolo più significativo della storia della valle Anzasca per il XVIII secolo. Macugnaga divenne un polo minerario di primaria importanza, dove confluirono in modo massiccio maestranze provenienti da varie zone minerarie alpine in cui si stava registrando un contemporaneo calo di attività: Canavese (val Chiusella), valle d’Aosta (valli di Ayas e Champorcher), ma soprattutto Tirolo (diversi distretti della valle dell’Inn), Voralberg e Sudtirolo. Pure da Alagna, nella contigua Valsesia, altri addetti del settore si spostarono in valle Anzasca al seguito di impresari locali, quando a partire dal 1760 e dopo circa un decennio di ‘boom’ l’attività gestita direttamente dal governo sabaudo venne drasticamente ridimensionata: si trattava soprattutto di canavesani, accompagnati da tirolesi e sassoni, tutti già presenti là fin dalla prima metà del secolo.  Si può ritenere che gli immigrati si attestassero attorno a un terzo del totale della popolazione di Macugnaga, cioè il loro numero fosse prossimo ai 300, con una percentuale paragonabile a quella riscontrata nella vicina Alagna durante il decennio precedente.

Le cause di questo boom, non sono legate al mercato del metallo nobile, il cui prezzo si mantenne stabile nel tempo, ma vanno semplicemente ricercate nell’ascesa proprio dei suddetti impresari maggiori: non a caso quando essi scomparvero dalla scena (Giovanni de Paulis morì nel 1785, il Giordano nel 1788 e il Testone nel 1792) le miniere della valle Anzasca, e quelle di Macugnaga in particolare, andarono incontro a un rapido declino che si protrarrà quasi fino al termine del secondo decennio dell’Ottocento.

Si ebbe però il concorso anche di un quadro favorevole in relazione alle caratteristiche giacimentologiche della parte principale del campo filoniano di Pestarena-Val Quarazza: grazie ai lavori che si andav

ano sempre più approfondendo dall’alto verso il basso, è presumibile che proprio in quel momento si siano cominciate a intaccare porzioni molto produttive dei corpi minerari, dove i filoni cioè iniziavano a presentarsi con mineralizzazione in “colonne ricche” ben sviluppate, localizzate in corrispondenza di ingrossamenti legati tanto a cambiamenti di immersione e/o pendenza quanto a ramificazioni filoniane secondarie e relative intersezioni. Sarà su questa parte del giacimento che in seguito si concentrerà e si andrà sviluppando sempre più in profondità l’attività di ricerca e coltivazione [1].


[1] Per questo periodo storico si rimanda a: R. Cerri e A. Zanni, L’oro del Rosa. Le miniere aurifere tra Ossola e Valsesia nel Settecento. Uomini, vicende e strumenti in valle Anzasca, Magenta, Zeisciu Centro Studi, 2008.

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