L’Oro Povero
Tratto dal Settimanale “Le Ore” 29 Maggio 1954
A Pestarena, alle pendici del Monte Rosa, si estraggono trenta chili di oro al mese ma l’attuale svalutazione del metallo ha messo in crisi la miniera: sono stati ridotti i turni di lavoro ed è minacciata la vita stessa della miniera antica di duemila anni.
Inchiesta di Federico Garolla
Ora la loro miniera, l’unica da cui si estragga il minerale prezioso in Italia, vive momenti difficili, determinati non dall’esaurirsi delle ricchezze del sottosuolo (400.000 tonnellate accertate di roccia aurifera attendono di essere scavate garantendo quattro anni di lavoro), ma dalla diminuzione del prezzo dell’oro che da mille e cento lire del 1949 è sceso, dopo che la Russia ha gettato sui mercati mondiali la sua produzione, a settecentoventi lire al grammo. Per far fronte al nuovo stato di cose la società parastatale che gestisce la miniera, mentre ha aumentato il capitale sociale da trecento milioni (anteguerra) a due miliardi e ottocento milioni nominali, si è vista costretto a ridurre i turni di lavoro delle maestranze. E duecentosettanta dipendenti temono di leggere gli uni negli occhi degli altri la conferma dei loro timori.
Chiedono di poter continuare a lavorare i minatori di Pestarena che estraggono l’oro. Sono minatori piemontesi, toscani, sardi, calabresi, veneti, pugliesi, che amano la miniera come il marinaio il mare, l’aviatore l’aria; sono abituati a trascorrere tra la polvere un terzo della loro vita scavando sottoterra, nell’oscurità, con l’assordante rumore dell’acqua che precipita e quello delle perforatrici; molti di loro soggiacciono a lungo andare alla silicosi, causata dalla polvere di silicio che si libera nel corso dei processi di estrazione dell’oro. Fino ad un mese fa lavoravano tutti i giorni; oggi scendono in miniera solo tre giorni la settimana e temono per il loro avvenire. E’ gente che ha imparato da poco a decifrare quotazioni e prezzo dell’oro sui mercati internazionali, per conoscere le ragioni di ciò che li tocca da vicino.
Sui visi dei minatori di Pestarena, quando riposano sulle panche addossate alle baracche dopo mezzogiorno o quando scendono dai “siluri” che li hanno riportati alla superficie o durante i comizi all’aperto nei quali la parola che più spesso ricorre è miniera, la fatica fa posto, dunque, ad altre rughe. Qualcuno è tornato al paese, con la speranza di poter trovare qualche ingaggio altrove, magari all’estero, ma i più sono rimasti. Nei momenti di pausa parlano di produzione, di costi, di soluzioni che per un attimo, come accade, paiono possibili, già scontate. Ma dalle diecimila e più tonnellate di roccia aurifera che ogni mese venivano estratte, e da cui si ottenevano nella miniera trenta chili circa di oro, si è passati, intanto, a una produzione praticamente dimezzata. L’oro povero di Pestarena è divenuto ancor più povero.
Senza interruzione per secoli e secoli (sin dall’epoca di Roma) la miniera del Monte Rosa ha visto succedersi generazioni di uomini che hanno rischiato e sudato per strappare alla roccia le sue ricchezze. Adesso, se per un giorno solo le perforatrici si arresteranno, l’opera che è proseguita così mirabilmente nel tempo verrà d’un tratto perduta: le gallerie si allagheranno, franeranno di lì a poco le volte, e gli uomini non potranno più liberarle. Lo sanno tutti a Pestarena. E per questo al dolore si aggiunge una sorta di larvata malinconia. I minatori, che hanno imparato a contare in colpi di piccone lungo i cinquantadue chilometri di cunicoli la fatica loro, e degli altri prima, si sentono sconfitti. Ed è così che a Pestarena qualcuno dice anche che a sera essi levano per pregare gli occhi al cielo, dove le stelle stanno a guardare.